Cervia Città Giardino “Dante e i giardini dell’Eden” l’Unione Romagna Faentina a Cervia

Cervia Città Giardino

 “Dante e i giardini dell’Eden”

L’Unione Romagna Faentina a Cervia  

Nella Rotonda Primo Maggio è terminato in questi giorni, il giardino dedicato al settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri, allestito dall’Unione Romagna Faentina, presente da anni alla manifestazione Cervia Città Giardino.

Un allestimento ispirato al Canto XXX Purgatorio (22-39), dove immerse nel verde di un giardino rigoglioso sette statue rosse, raffiguranti sette donne si ergono su piedistalli, attraendo il nostro sguardo.

La Delegata al verde Patrizia Petrucci: “Ringrazio l’Unione Romagna Faentina e i loro maestri giardinieri con la collaborazione dell'Associazione Nazionale Pubblici Giardini, ​ per questo splendido allestimento, di grande bellezza e suggestività. E’ una testimonianza di profonda amicizia con la nostra città, che lascia un’impronta fondamentale nel percorso cervese dedicato a  Dante e i giardini dell’Eden”.

 

Il significato del Giardino

Un allestimento ispirato al Canto XXX Purgatorio (22-39) dove immerse nel verde sette statue rosse si ergono su piedistalli. In un giardino rigoglioso sette donne calamitano il nostro sguardo. Provengono da sette storie diverse, le ha forgiate la mano di un artigiano fittile, ricavandole da calchi che permettono alla bellezza di diffondersi e moltiplicarsi. Provengono da tempi e luoghi differenti – figure della sopravvivenza – sfuggono all’oblio e ci ricordano il meraviglioso percorso che ha attraversato la “téchne” nella ricerca del bello. Le prime due sculture ci raccontano di arte greca e romana, tra ricerca di armonia e panneggi magistrali; il volto della madre divina rievoca la dolcezza di ogni madre umana alla quale sia permesso un tenero abbraccio con il figlio; una donna nuda, bellissima – forse una ninfa – gioca coi lunghissimi capelli in un gesto di elegante erotismo; un giovane sguardo raffinato sembra ricordarci di tempi passati, tra ricevimenti e cortesie in interni borghesi; due scarpette con il tacco sostengono una figura sfuggente, mentre elementi classicheggianti emergono dalla seducente linearità di una Venere quasi contemporanea. Sette archetipi femminili abitano lo spazio in forma scultorea, fondendosi e confondendosi nel respiro di una natura addomesticata. Tra questi, le parole del Sommo Poeta evocano un’ultima figura femminile, quella di Beatrice – donna amata e mistica rivelazione – la cui apparizione è affidata non ad occhio umano, bensì alla sopravvivenza di un velato mistero. Pigmenti rossi, infinite sfumature verdi ed echi danteschi ci accompagnano verso una nuova scoperta: al centro del percorso un panneggio rosso giace su una panchina, abbandonato. Corpi velati e corpi svelati introducono il manifestarsi di un ribaltamento. Il tessuto acquista la sua autonomia visiva, si fa ricettacolo di un nuovo archetipo femminile, iperbole metaforica e metonimica di una nuova sostanza immaginifica. Un corpo si sottrae allo sguardo, forse per fuggire a definizioni logore e stantie, forse per scardinare pregiudizi, forse per rinnovare la nostra capacità di immaginare. Il panneggio, sontuoso residuo, resta l’unico testimone di una sparizione-apparizione che affida la propria esistenza a quel colore che da sempre è simbolo di una forza primordiale che trasforma e purifica, diventando «marca visuale della presenza sottratta».

 

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